I Celti in Irlanda

« Older   Newer »
  Share  
Lia#5
icon11  view post Posted on 12/12/2004, 15:50




L'isola dei cento re.

Tanti sono i sovrani in lotta tra loro, in questo lembo d'Europa ancora abitato dai Celti. Così, per i Vichinghi, penetrarvi sarà fin troppo facile. "L'Irlanda isolata dal resto del mondo al punto da essere un piccolo universo a sé stante, è perciò ricca di fenomeni fuori dal comune, Queste parole, scritte dal chierico anglonormanno Gerard de Barri, che visitò l'Irlanda alla fine del XII secolo dimostrano che, a quell'epoca, la verde isola era ancora, agli occhi degli stessi europei colti, un oggetto misterioso. Eppure, proprio allora, si stava chiudendo una stagione in cui l'Irlanda aveva svolto un ruolo importante nello sviluppo della civiltà d'Europa.I Romani avevano ignorato l'Irlanda.

Qualche generale, come Giulio Agricola, suocero di Tacito, riteneva la sua conquista tecnicamente facile, ma l'isola non rivestiva sufficiente interesse economico o militare. Solo alcuni mercanti vi si avventurarono, come dimostrano le suppellettili italiche e le monete romane dissepolte nei prati irlandesi dagli archeologi. Quando l'impero d'occidente entrò in crisi, dall'Irlanda cominciarono a partire incursioni piratesche a danno delle sguarnite coste britanniche: in una di esse, fu catturato per essere venduto come schiavo un adolescente di famiglia romana, Patrizio. Dopo sei anni di schiavitù, il giovane fu liberato e si recò in Gallia, ove abbracciò la vita religiosa. Ben presto decise di tornare in Irlanda a predicarvi il cristianesimo. Secondo la tradizione correva l'anno 432.

Druidi e guerrieri.

Patrizio, che diventerà santo e patrono d'Irlanda, predicò nell'ultimo lembo d'Europa ove era sopravvissuta l'antica società celtica. Come nella Gallia conosciuta da Cesare, la popolazione era divisa in tribù, dette tuatha, ciascuna stanziata in un proprio territorio e governata da un re. Poiché si calcola che le tribù fossero non meno di cento in tutta l'isola, appare fondata la pretesa di ogni irlandese, espressa in un detto popolare, di avere un re fra i propri antenati. Attorno al re si distinguevano un'aristocrazia guerriera, fiera di possedere terre e bestiame, e il ceto sacerdotale dei druidi. A un livello più basso s'incontravano piccoli artigiani e contadini, che in genere si ponevano al servizio di un nobile, instaurando un vincolo di subordinazione personale. Gli schiavi, frutto di guerre o razzie, pare fossero poco numerosi. I vari re locali si raggruppavano nelle regioni storiche dell'Ulster, del Connaught, del Leinster, del Munster e del Meath, riconoscendo la supremazia di un sovrano locale. Anticamente i re dell'Ulster avevano tentato di esercitare una certa egemonia su tutta l'isola ma, ai tempi di Patrizio, si era affermata la stirpe degli Ui Neill del Meath, discendenti da Niall dei Nove Ostaggi, che aveva guidato scorrerie contro i Romani in Britannia. Gli Ui Niall si tramandavano il titolo di ard righ, cioè "re supremo", d'Irlanda ma, al di là delle loro pretese, si trattava in effetti di una carica del tutto simbolica. Il titolare risiedeva nella fortezza di Tara, ove periodicamente avvenivano celebrazioni religiose.

Legami di sangue.

La società irlandese era incentrata sulla tuath. L'uomo irlandese era se stesso solo in relazione agli altri membri della tribù, così come l'uomo greco classico non poteva immaginarsi al di fuori della città stato: in entrambi i casi, l'esilio era una condizione lacerante. Gli irlandesi nutrivano inoltre un forte senso della famiglia nella quale venivano inclusi tutti i discendenti da uno stesso antenato per quattro generazioni. Se a questo aggiungiamo che era diffusa la pratica dell'adozione, in base alla quale sino alla maggiore età un giovane o una ragazza potevano essere allevati da una famiglia diversa dalla propria, si comprenderà la fitta rete di legami di sangue e d'affetto che si creavano all'interno della tuath. I membri della tribù vivevano sparsi sul territorio in minuscoli agglomerati: le città non esistevano e l'abitato più importante era rappresentato dalla dimora del re.

Questi risiedeva in una fortezza, costituita da un terrapieno circolare, a volte succinto da un fossato, al cui interno sorgevano edifici di legno: qui dentro si celebravano fiere, mercati e riti sacri. In caso di guerra, la fortezza accoglieva gli uomini e le mandrie. Fra le diverse tuath esistevano irriducibili rivalità, che potevano sfociare in scontri armati. I guerrieri brandivano lance e spade e ostentavano disprezzo verso l'armamento difensivo, limitandosi a uno scudo di legno.



Edited by Lia#5 - 15/1/2005, 20:32
 
Top
Lia#5
view post Posted on 15/1/2005, 20:32




Croci di pietra.

Tra il V e il VI secolo il cristianesimo si affermò senza grossi traumi, sovrapponendosi alla società celtica. Le feste cristiane assorbirono precedenti celebrazioni pagane; divinità del popoloso pantheon irlandese sopravvissero attraverso il culto dei santi; molti guerrieri si trasformarono in monaci, affrontando digiuni e astinenze con lo stesso coraggio con cui erano scesi in battaglia. Ai territori della tuath corrisposero altrettante diocesi, il cui vescovo, che proveniva dall'aristocrazia o addirittura dal ceto dei druidi, era al tempo stesso abate di un monastero. Furono i monasteri gli autentici centri nevralgici dell'Irlanda cristianizzata. Mantennero strutture analoghe a quelle delle residenze reali, assumendo dimensioni a volte notevoli.

All'interno ferveva vita culturale: nel VII secolo, il periodo nel quale Jacques Le Goff si disse tentato di recuperare l'antica espressione di "epoca buia", l'Irlanda si collocò in una dimensione differente. L'arte cristiana si espresse attraverso una felice fusione tra reale e fantastico, producendo opere di oreficeria, di scultura (come le caratteristiche croci di pietra) , di miniatura.

Ben presto i monaci irlandesi iniziarono a sciamare verso il continente europeo per promuovere iniziative di evangelizzazione, ma portandovi anche il proprio bagaglio culturale. Fu una benefica iniezione di letterati e addirittura filosofi in un'Europa ancora prostrata dalle migrazioni dei popoli e alla ricerca di nuovi equilibri dopo l'estinzione dell'Impero Romano.La fama dei miniatori irlandesi perdurò a lungo nei secoli e i loro codici ancora impreziosiscono molte biblioteche. E' comunque nella stessa Irlanda che si conservano le opere più pregevoli come il Book of Kells, considerato il libro più bello del mondo. Gerard de Barri vide un codice miniato a Kildare e rimase incantato:quando gli fu raccontata la leggenda secondo la quale era stato eseguito da un monaco guidato da un angelo, il chierico vi credette. "Non si può esitare a dichiarare -scrisse- che questa è l'opera della mano degli angeli e non degli uomini".

Il Regno di Dublino

L'endemica rivalità delle tuatha rappresentava comunque un pericoloso elemento di debolezze per l'Irlanda, come emerse quando sull'isola sbarcarono i Vichinghi. Le cronache locali collocano il loro arrivo alla fine dell'VIII secolo: gli invasori s stabilirono sulle coste e iniziarono una penetrazione verso l'interno, che si protrasse per tutto il IX e il X secolo, in un crescendo di razzie e saccheggi . Eroe della lotta contro i Vichinghi fu Brian Boru che, dopo una serie di vittoriose campagne, riuscì ad ottenere la carica di ard righ. Nel 1014 sconfisse duramente gli invasori nella battaglia di Clontarf, presso Dublino, ma egli stesso vi trovò la morte: la sua vicenda, più che come una guerra di liberazione contro i vichinghi, va interpretata come un vano tentativo di rafforzare il potere centrale dell'ard righ, duramente contrastato da molte tuatha, che, significatamente, a Clontarf inviarono a combattere i propri guerrieri contro Brian. In ogni caso la vittoria contribuì a rafforzare lo spirito di resistenza contro gli stranieri: equipaggiati con armi più efficaci, quali scuri e spade modellate su quelle degli avversari, gli irlandesi tennero testa con maggior decisione ai Vichinghi, allentando la loro pressione. Gli invasori finirono con il convertirsi al cristianesimo, fondarono le prime, autentiche città e crearono piccoli regni che si integrarono nella realtà dell'isola. Il più importante di essi era quello di Dublino: la futura capitale dell'Irlanda appariva allora come agglomerato di grandi capanne ovali, dal tetto spiovente, composte da un unico stanzone in cui viveva tutta la famiglia. Ma l'incapacità di superare le divisioni interne condusse infine alla rovina la società irlandese. Nel 1166 Dermot MacMurrough, re del Leinster, per combattere i propri nemici assoldò alcuni cavalieri normanni, vassalli di Enrico II d'Inghilterra. Forti di una pratica bellica superiore a quella irlandese, i Normanni si rivelarono una forza incontenibile. Dermot comtemplò soddisfatto le duecento teste mozzate offertegli dai suoi alleati e, spinto da ancor più vaste ambizioni, arrivò a sfidare lo stesso ard righ Roderick O'Connor. Intanto, altri Normanni si erano messi al suo servizio, nella speranza di crearsi un proprio dominio nell'isola. Preoccupato che i suoi vassalli si procurassero regni a buon mercato, Enrico II corse ai ripari: nel 1171 sbarcò a Dublino, ristabilì la propria autorità sui cavalieri normanni e ricevette l'omaggio di alcuni re irlandesi. Anche O'Connor dovette fare atto di sottomissione: dopo di lui, non venne più nominato alcun ard righ e iniziò la secolare dominazione della corona inglese.

 
Top
Lia#5
view post Posted on 23/1/2005, 09:43




La Società

Il tessuto sociale celtico si articolava su tre livelli: il druida, sommo sacerdote che presso i Galli aveva il nome di virgobrete (in realtà questo era più un magistrato), uomo di legge, di scienze esoteriche, indovino, conoscitore degli astri e della natura, medico, interprete dei sogni; il cavaliere, uomo di potere economico, politico e militare, la cui fonte di ricchezza era il bestiame (periodo hallstattiano) e l’industria ed il commercio (periodo lateniano); il popolo, composto da servitori. In realtà le decisioni più importanti spettavano al druida. Dunque chi aveva più cavalli (o in generale bestiame) oppure attività commerciali gestiva il potere economico ed era il re della tribù, cioè il capo dei cavalieri.

Questa suddivisione dimostra come l’evoluzione dei popoli celtici andò assieme all’evoluzione del cavallo, animale di grande importanza e di ausilio per loro. Tutto ciò ci mostra come in effetti i Celti derivarono dagli Sciti e dunque dalla cultura dei Kurgan, che avevano la stessa considerazione per il cavallo, mezzo di sopravvivenza sia in pace che in guerra. Tra l’altro, gli Sciti avevano sostanzialmente la stessa struttura sociale.

In particolare dopo il periodo lateniano, ogni comunità celtica si identificava in un gruppo economico: tutti vivevano per quella o quelle attività che gestiva un signore locale. Per questo motivo quando il cavaliere decideva di combattere, tutto il popolo si mobilitava, perché era in gioco la loro sopravvivenza; quando si decideva di migrare, tutti partivano. Nel corso degli anni i diversi gruppi economici si sono unificati, per esigenze commerciali e gestionali, dando vita così a tribù più estese e complesse. I clan scozzesi sono un’espressione di questi antichi raggruppamenti sociali. Anche le costruzioni dei villaggi venivano realizzate attorno a quella del cavaliere.

La contrapposizione maggiore tra la cultura greco-romana e quella celtica consisteva nel fatto che mentre la prima si proponeva di conquistare la natura e di dominarla, conoscendo le sue leggi, la seconda preferiva conviverci, sentirsi parte integrante, conoscere il proprio destino per abbandonarsi ad esso. Nell’arte, dunque, non si ricerca la perfezione e la bellezza, ma l’emozione e la libertà.

Nella società celtica il maschio era espressione di vigore e forza e viveva assieme ad altri maschi, fino a che non era tempo di avere figli, per cui si avvicinava alle donne, con cui avrebbe vissuto assieme, continuando comunque a frequentare comunità maschili. Le donne, a loro volta, vivevano in gruppi, separati dagli uomini dove allevavano i figli. Esse esprimevano il coraggio e la tenacia. Gli uomini avevano grande rispetto per loro e ad esse erano molto legate. La prova di ciò ci è data dalle regine della Britannia che hanno combattuto i Romani, come vedremo dopo. Addirittura si dice che in battaglia esse trasmettevano il coraggio ai guerrieri. Tale affermazione rientra in un discorso esoterico che riprenderemo nel prossimo paragrafo. Tuttavia, alcune di esse, di rango basso, potevano essere barattate con dei cavalli.



Edited by Lia#5 - 23/1/2005, 09:44
 
Top
Lia#5
view post Posted on 23/1/2005, 09:44




Al largo della Bretagna esisteva un’isola abitata solo da donne che vi vivevano in comunità ed assunse un ruolo di sacralità.

Gli uomini celtici amavano le feste, dove si raccoglievano assieme e raccontavano saghe e favole, i riti comunitari, dove, alle volte, compivano dei duelli mortali, prediligevano bere (vino, birra, whisky) e mangiare in particolare il maiale arrosto (il cavallo ed il toro erano impiegati per riti sacri). Secondo la tradizione, un buon celtico, oltre che un valente guerriero, doveva essere eloquente.

Il guerriero celtico in battaglia si dipingeva il volto di vari colori, urlava sia perchè voleva spaventare il nemico, sia per esprimere il proprio vigore fisico, di cui era fiero. Amava radersi (i Britanni portavano anche i baffi) e viveva a contatto con la natura. Dunque, la struttura sociale dei Celti era molto semplice ed in essa nel corso degli anni e dello sviluppo economico si potè inserire anche la borghesia (età lateniana). La società celtica non ebbe modo di articolarsi, viste le contaminazioni romano - germaniche. Solo in Irlanda, dove potè svilupparsi in pieno, andò articolandosi su più livelli: re, druidi (filid), nobili inferiori, contadini (perché possessori di terra), bardi (ceto borghese, a cui era affidato il tramandare la tradizione), lavoratori ed artisti di intrattenimento. Questi ultimi due rappresentano classi sociali non libere. Più tardi, con l’avvento del cristianesimo, il druida diventa anacoreta ed assume un ruolo di consigliere nella chiesa celtica, che avrà dei contrasti con quella romana, sfociati in alcuni casi in eresia.

 
Top
Lia#5
view post Posted on 23/1/2005, 09:47




La Religione Celta

Eracle era una divinità, un eroe ellenico, che, giunto in Gallia, fondò Alesia e si invaghì di una principessa locale. Questa colpita dal suo vigore e dalla sua possenza fisica, si unì all’eroe orientale. Frutto dell’unione fu il giovane Galates, che salito al trono, diede il suo nome al popolo: galati o galli. Questa tesi propagandistica dimostra il legame tra Occidente ed Oriente.

La religione celtica ha molte affinità con le religioni delle culture indoeuropee, in particolare con quella scita. Essa si basa su concetti molto semplici: la reincarnazione della vita, la rigenerazione, la resurrezione, l’amore per la natura, la sacralità di alcune piante (la quercia in Gallia e Galizia, il tasso in Britannia, il torbo in Irlanda). Gli alberi erano il tramite con il firmamento e separavano l’uomo dagli dei celesti. Attorno ad ogni villaggio c’erano dei boschi sacri (drynemeton) dove si eseguivano riti e dove veniva giudicata la gente dai druidi.

Si usavano spesso anche i dolmen ed i menir megalitici, già realizzati dalle precedenti civiltà, per rappresentare una continuità tra l’uomo ed il firmamento.

La morte rappresentava per i Celti una breve pausa per una vita eterna: esisteva infatti la reincarnazione (in cui si crede anche in India), per questo si amava la natura, perché si poteva rinascere in altre forme di vita. Il concetto di rigenerazione era fondamentale ed a simboleggiarlo c’era la croce celtica. Il tema della resurrezione è importante, perché indica una continuità della vita ai danni della limitatezza della morte.

Dunque il celtico non si preoccupava se in battaglia moriva, anzi questo gli dava più onore, tanto poi risorgeva. Andavano nudi in battaglia perché, in preda al loro furore bellico, comunicavano con gli dei direttamente e quindi emettevano calore. Non è escluso che i druidi conoscessero delle tecniche yoga, atte a creare uno stato di trance nei guerrieri nella fase pre-bellica. Essi infatti eseguivano dei passi di danza prima di combattere, proprio per entrare in contatto con le divinità.

www.spazioinwind.libero.it

 
Top
Lia#5
view post Posted on 23/1/2005, 09:48




I Celti, specialmente quelli d’Irlanda, credevano che alcune divinità vivessero sottoterra. Con loro si entrava in contatto attraverso pozzi e stagni. Attorno ad ogni villaggio c’erano zone ritenute sacre anche per questo. In Vandea sono stati trovati pozzi contenenti alberi e resti umani e animali: agli dei si sacrificava tutto, sia il simbolo della fertilità che la vita stessa. Esistevano cerimonie celtiche, presiedute da druidi, in cui, con un sottofondo musicale, si portavano in processione alberi che, alla fine, venivano sepolti in pozzi.

I Celti non credevano nel peccato, quindi la loro morale era molto semplice.

Collezionavano le teste dei nemici (in Irlanda il cervello) sopra le porte delle loro capanne o su pali conficcati nel terreno, sia perché questo accresceva la loro fama, sia perché quando il nemico fosse rinato lo avrebbe fatto senza testa, quindi più debole.

I Galati trasmisero ai loro cugini europei il mito scita del piccolo dio Attis e della sua madre Cibele, dispensatrice di coraggio e gran madre di tutti, che poi, se vogliamo, è lo stesso mito fenicio del dio Baal e della dea Baalat.

Dunque la donna rappresentava il coraggio, che specialmente in battaglia era molto utile, e la fertilità che si ricollega alla rigenerazione della vita: esisteva una forte venerazione per la madre. Non è escluso che esistessero druidesse, come le abitanti dell’isola bretone o la sacerdotessa di Vix della Baviera.

Il ruolo del druida è molto simile a quello del bramino indiano (la società celtica e quella indiana sono simili: il re - cavaliere assomiglia al rajas indiano). A tale proposito si sottolinea che alcune parole del gaelico sono molto simili al loro omologo indiano.

I druidi erano il centro della religione celtica. Ebbero anche una valenza politica. In Gallia, in particolare, sotto la dominazione romana, difesero i costumi celtici e portarono avanti un sentimento rivoluzionario antiromano che sfociò secoli dopo durante la fine dell’Impero Romano. Essi non pagavano tasse, non espletavano il servizio militare, non erano legati al loro territorio come il resto della popolazione. Erano, in pratica, i veri capi della tribù. Avevano un falcetto in mano che li rappresentava, anche perché erano conoscitori di erbe mediche, che venivano raccolte con una certa ritualità. Alcune, perché velenose, erano raccolte con la mano sinistra (era quella che valeva di meno), altre con la destra. Essi seppellivano i morti in tumuli, secondo la tradizione dei kurgan.



 
Top
Lia#5
view post Posted on 23/1/2005, 09:49




I druidi si riunivano in assemblee e c’era il majestix (il grande re) che affidava i vari compiti a loro. Si diventava druida solo dopo aver superato una prova che consisteva nel ritirarsi nel bosco sacro e giungere all’aldilà (attraverso prove di allucinazioni ed ipnosi): solo chi vi era stato ed aveva fatto ritorno tra i mortali poteva guidare un popolo.

I Celti avevano 374 divinità. In realtà molte erano copie di altre, per cui se ne contano circa 60. Tra questi si ricorda: Teutate, dio barbuto, presente nei riti sacrificali, Beleno omonimo di Apollo, Arduinna da cui presero il nome le Ardenne, Belisama omonima di Minerva, Nemetona dea della guerra. Il più importante di tutti era Lug, che diede il nome a Lione e Leida. Simboleggiava un grande druida e sapeva suonare l’arpa, lavorare il ferro, combattere da valoroso, fare magie. Questi fu il progenitore del germano Wotan, che era chiamato anche Odino ed era il signore del Walhalla.

Wotan era il grande druida ed era il signore del calore magico che infiamma il guerriero. Dunque tra Germani e Celti c’è questa trinità divina in comune: Wotan-Odino, Donar-Thor, Ziu-Tyr, presso i primi; Teutate, Eso e Tarani presso i secondi. Teutate era il più potente e si placava con sacrifici di sangue. Eso era identificato con il toro, anche egli assetato di sangue. Tarani era il dio della guerra e preferiva il rogo. Successivamente, Lug prese il potere su tutti. La volta celeste era la proiezione della vita terrena, per questo si ipotizzavano lotte e nascite di dei. Alla fine uno prevalse e fu il successo dei druidi. Il concetto di trinità è molto ricorrente nelle religioni dei popoli di origine orientale.


 
Top
Lia#5
view post Posted on 23/1/2005, 09:50




Attività

Le fonti storiche che raccontano dei Celti sono svariate: Erodoto, Cesare, Livio, Polibio (il più accurato), Posidonio, Diodoro Siculo, Dionigi di Alicarnasso, Strabone, Dione Cassio, Tacito.

I Celti erano una popolazione prettamente nomade. Furono i primi ad introdurre l’uso dei mantelli colorati e dei pantaloni (brache) entrambi ereditati dagli Sciti. Molto bravi dunque nell’arte della tessitura e della tintura.

Abilissimi, poi, nella lavorazione dei minerali, in particolare del ferro, introdussero l’ottone e per molto tempo lavorarono la smithsonite, un particolare minerale, sostitutivo dello zinco. Conoscevano molto bene le varie tecniche di fusione. Erano anche capaci nella cottura del vetro (bianco e colorato), nell’uso dello smalto e nella lavorazione dell’ambra. Tali pratiche furono perfezionate nel corso del passaggio dalla cultura hallstattiana a quella lateniana.

Era dedito all’allevamento del bestiame (la parola pecus la ritroviamo anche tra i Galati), in particolare mucche e pecore; da queste ultime si traeva la lana. Popolo guerriero, utilizzavano splenditi elmi piumati ed alcune volte corazze (anche se combattevano quasi sempre nudi), tipo quelle medioevali. La spada celtica era corta e veniva impiegata come arma da taglio. Più tardi ne furono forgiate di più lunghe, tutte intarsiate e adornate di pietre, ma si parla di dopo il 500 d.C..

Amavano radersi il volto e pettinare i biondi capelli all’insù, indurendoli con del gesso. In battaglia si coloravano il viso e, dopo aver danzato, si lanciavano nudi addosso al nemico urlando: prediligevano il corpo a corpo ed il primo assalto. Per questo con le spade colpivano, menando dei fendenti, che non si rivelavano mai colpi mortali. Polibio racconta che le loro piccole spade si piegavano dopo i primi colpi. Fu questo uno dei motivi che li fece perdere contro i Romani, che invece usavano la spada e le lance, colpendo con dei colpi mortali, evitando il corpo a corpo. Solo successivamente gli Etruschi ridestarono l’uso del carro da guerra che avevano prima appreso sia dagli Sciti che dai popoli del nord (ex Atlantidi) e poi dimenticato. Gli scudi, poi, ben rifiniti ed incisi, erano piccoli rispetto al corpo, sempre perché i Celti confidavano nell’impeto dell’assalto. I Romani avevano scudi lunghi; fu anche questo un motivo della disfatta celtica. Tra l’altro i loro eserciti non erano ben organizzati e le loro tattiche di guerra si basavano prevalentemente sul furore bellico.


Dunque i Celti, per via del loro furore e della scarsa tattica, erano destinati a perdere le battaglie contro un esercito organizzato. Questa particolarità costituì un serio pericolo per Annibale, nella sua calata in Italia, poiché, in battaglia, la parte celtica del proprio fronte di attacco era la prima a cedere. Il generale punico seppe utilizzare questo potenziale difetto a proprio vantaggio, inserendo i Celti al centro del proprio schieramento, dando origine alla sua famosa tattica a tenaglia, nella quale il centro cedeva e risucchiava il nemico che veniva finito dalle ali, ove era presente la cavalleria.
user posted image

 
Top
Lia#5
view post Posted on 23/1/2005, 09:51




L’unico re celtico che capì che, in battaglia, bisognava usare una strategia oltre al furore fu il gallo Vercingetorige, che, impiegando la tattica della "terra bruciata", minava a colpire gli approvvigionamenti dei Romani, ottenendo qualche successo. In particolare, aveva capito che se avesse accettato lo scontro diretto con i Romani avrebbe perso.

Dal punto di vista dell’edilizia, i Celti abitavano prevalentemente in capanne di legno, circolari o rettangolari, ed in villaggi.

Cesare chiama vici i villaggi non fortificati e oppidum le costruzioni - roccaforti, di cui le terre celtiche sono piene. I Celti, invece, indicavano con il termine dunum la fortezza e con nemeton un luogo sacro. Soprattutto in Gallia, le loro città avevano mura di cinta spesse.



Con l’influenza degli Etruschi e dei Greci, che avevano fondato Marsiglia ed influenzavano il commercio di quelle regioni, costruirono case di pietra con piccoli vani. Amavano vivere all’aperto, sotto le querce, ritenute sacre, secondo la cultura del drynemeton (luogo delle querce), ove si tenevano riti sacri e processi.

Un esempio è la città di Manching, nelle paludi del Danubio, crocevia tra Ungheria e Baviera, distrutta nel 15 d.C. in modo misterioso e violento. Città grandissima (7 km mura di cinta), conteneva tante fabbriche, vicine tra loro, basate sul prototipo della catena di montaggio, introdotto dai Greci. Si trattava di una città tipica dell’espressione lateniana, dove c’erano schiavi e signori, dove il commercio aveva il suo valore (specie quello di massa), dove il denaro aveva la sua importanza.

Come sepolture dapprima utilizzarono le tombe a tumulo, tipiche della cultura indoeuropea ereditata dai Kurgan (si ritrova tra gli italici, i sanniti, gli illiri….), poi predilessero l’inumazione.

Commerciavano e lavoravano il sale, in celtico hal: molte città della zona del sale hanno come suffisso iniziale questo termine. Prediligevano l’uso delle botti a quello delle anfore. Inoltre lavoravano l’ambra, con la quali arricchivano le loro collane.

Amanti del vino, producevano anche la birra. Inventarono il servizio turistico della pensione completa, che si teneva nelle stazioni di cambio.

In generale, erano dediti alla manifattura (questo fu trasmesso loro dagli Etruschi) ed al commercio, anche per questo si frazionarono molto (di cui Roma approfittò): si può dire che ciascuna unità economica era una tribù (questo fu un difetto della cultura lateniana). Quindi davano una grande importanza al denaro.

I Celti che vivevano in zone marittime svilupparono un’abile capacità di navigazione. Possedevano navi più robuste di quelle romane: erano fatte di quercia, con vele di pelle. Le caravelle della Lega Anseatica del 1300 erano fatte su questa stessa base, mentre le navi vichinghe erano più sul modello leggero. I Bretoni ed i Britanni in particolare esercitarono un’attività piratesca.

Il popolo celtico amava molto la musica (in particolare l’arpa) che veniva impiegata per celebrare riti sacri e di preparazione bellica, per raccontare le gesta di eroi e per impiegare la propria fantasia, luogo di rifugio dalle storture della vita. Infatti era molto diffusa la divinizzazione di eroi espressa attraverso le saghe.


Per i Celti la fama era tutto, soprattutto nella misura in cui gli altri ti ricordavano.

A tale proposito espressero una tradizione soprattutto orale. Un esempio relativo a questo argomento è dato dai Celti d’Irlanda, che, per mezzo del loro isolamento storico, rappresentano una razza celtica incontaminata. Essi usavano molto le saghe ed i miti.

Erano anche conoscitori della magia e delle scienze esoteriche.

 
Top
Lia#5
view post Posted on 23/1/2005, 09:52




queste info le ho prese direttamente da un sito internet, in modo che siano sicuramente giuste e complete....buona lettura!
 
Top
Sè#9
view post Posted on 14/7/2005, 14:18




La donna

La donna ricopriva, come nelle altre culture del tempo, un ruolo di secondo piano e si praticavano la poligamia e l'adulterio

Uno dei classici errori in cui si cade facilmente è quello di associare i Celti a popolazioni in cui la figura maschile era predominante e la donna trovava spazio solo come persona dedita alle faccende domestiche, sottomessa all'uomo e, anzi, oggetto di pratiche voluttuose.
Al contrario, le donne rivestivano un ruolo di prim'ordine nella società celtica come mai si era visto fino a quel momento; esse erano rispettate e venivano educate alla guerra esattamente come gli uomini (una delle più affascinanti leggende celtiche narra della fiera resistenza di una guerriera celta, Boudicca, contro le legioni romane), non potevano diventare druidi ma avevano pari diritti nel nucleo familiare e conservavano un patrimonio proprio inattaccabile dal marito. Le relazioni monogame divennero presto la regola e il matrimonio fu una delle istituzioni più consolidate nell'ambito della società celtica.


Il celtismo oggi

Uno degli argomenti più toccati durante gli incontri delle nostre comitive di amici al bar o nei pubs è quello relativo ai Celti; quante volte vi è capitato di sentire l'aggettivo 'celtico' affibiato alla musica, alla storia e ai film che vediamo al cinema? Giusto una settimana fa, per esempio, sono entrato con un mio carissimo amico in un megastore di dvd e compact disc e, scorrendo i vari scaffali, ho trovato una nutrita schiera di cd sotto la categoria 'Musica Celtica'; ad uno sguardo più attento, ho notato come le copertine fossero tutte rigorosamente create al computer con qualche sofisticato programma di disegno e raffigurassero paesaggi bucolici, donne in abiti talari, arpe gigantesche su sfondi di oceani, fiumi e cieli uggiosi.

Atmosfere senza dubbio evocative che inducono un perfetto ignorante in tema a pensare che i Celti fossero contadini o addirittura un'antica popolazione yippie che viveva nelle campagne o sui monti ascoltando soavi melodie accompagnate dai tuoni di un cielo grigio e dallo scorrere dei fiumi.

Camminando per strada è facile imbattersi in amici che indossano collanine con mistici simboli di cui non conoscono niente se non ciò che il negoziante ha detto loro prima di venderle, e cioè che si tratta di rune celtiche o monili irlandesi e scandinavi catalizzatori di energia e portafortuna. Ultimamente poi vanno molto di moda i tatuaggi sulle braccia e sulle gambe raffiguranti circoli con braccia allungante o spirali sinuose che si avvolgono sulla nostra pelle.
E' arrivato dunque il momento di fugare qualche dubbio sul tema 'celtismo' e portare un po' di luce su una popolazione che troppo a lungo è stata ignorata e associata ad erronei fatti storici e culturali.

Si intende che il sottoscritto non ha la pretesa di essere il custode supremo della verità sui Celti anche perché, ancora oggi, nonostante i vari reperti archeologici ritrovati e le testimonianze dei loro contemporanei, molto ancora dobbiamo scoprire della loro civiltà; ma se con questo semplice scritto riesco a fornire qualche utile indicazione a chi è desideroso di conoscere, sarò ben lieto di essere di aiuto.
 
Top
Lia#5
view post Posted on 7/12/2005, 13:05




le diverse lingue parlate dai celti:

Le lingue celtiche sono una sottofamiglia della famiglia linguistica indoeuropea. Dal punto di vista storico e geografico, le lingue si dividono in un gruppo continentale (ora estinto) e un gruppo insulare. Le lingue insulari si suddividono in due gruppi: il britonico (o britannico), che comprende bretone, cornico e gallese; e il goidelico (o gaelico), che comprende irlandese, gaelico scozzese e mannese.
Dalle Gallie e dalla Germania Occidentale il dominio delle lingue celtiche si estendeva nella preistoria (fino al secolo VI a.C.) a parte della Spagna, delle isole britanniche, dell’Italia settentrionale, fino all’Asia minore attraverso i Balcani.
L’espansione romana da sud e la pressione dei popoli germanici da est ebbero come conseguenza la scomparsa totale del celtico continentale. Sopravvivono solo i gruppi britonico e goidelico, nelle isole britanniche, in Bretagna e in alcune comunità americane.
La caratteristica fonetica che distingue le lingue celtiche da quelle indoeuropee è la perdita del suono indoeuropeo originario p. Una parola che in greco, sanscrito e latino presenta una p iniziale o intermedia, nelle lingue celtiche ne risulta priva: ad esempio al latino porcus corrisponde il goidelico orc. La differenza fra il gruppo britonico e quello goidelico risiede nel fatto che il secondo gruppo conserva il suono labiovelare indoeuropeo kw (scritto poi come c), mentre il britonico lo rende come p. Perciò l’irlandese cuig o coo-ig, "cinque" corrisponde al gallese pump
Le regole di pronuncia in tutte le lingue celtiche sono estremamente complicate; la grafia generalmente non corrisponde alla pronuncia e le consonanti iniziali cambiano in base al suono della parola che precede. In irlandese, per esempio, "sangue" è fuil, ma "il nostro sangue" è ar bhfuil. In gallese tad , "un padre", diventa fy nhad per "mio padre", ei thad per "suo (di lei) padre", e i dad per "suo (di lui) padre".
Tutte le lingue celtiche moderne usano l’alfabeto latino. Possiedono solo due generi, maschile e femminile, all’inizio della frase mettono sempre il verbo, esprimono l’agente sempre per mezzo del passivo impersonale.


Lastra di pietra con iscrizione gallo-greca,
da Vaison-La Romaine. II-I sec. a.C.

BRETONE
La lingua bretone è attualmente parlata in Bretagna in vari dialetti; la maggioranza dei parlanti usa anche il francese. Sorta fra il IV e il VI secolo tra gli esuli in fuga dal Galles e dalla Cornovaglia, si distingue dal gallese e dal cornico della madrepatria per l’uso delle nasali e i prestiti del francese. Ebbe una particolare fioritura intorno alla metà del XVII secolo, quando furono pubblicate numerose grammatiche e una vasta letteratura di opere teatrali, leggende e ballate. Il bretone fu riconosciuto come materia scolastica negli anni Cinquanta di questo secolo. Negli anni Quaranta i parlanti furono stimati circa un milione, cifra che attualmente si è ridotta di circa la metà.

CORNICO
Il cornico, un tempo lingua della Cornovaglia, è estinto sin dalla fine del XVII secolo, nonostante recenti tentativi di riportarlo in vita. Ne sopravvivono tracce solo in alcuni nomi propri e alcune parole del dialetto inglese parlato in Cornovaglia.

GALLESE
Il gallese, chiamato cymraeg o cimirico (da Cymru, "Galles") dai suoi parlanti, è la lingua originaria del Galles ed è la più diffusa delle lingue celtiche. E’ parlato in Galles e in alcune comunità degli Stati Uniti e dell’Argentina.
Organizzazioni come la Società per la lingua Gallese hanno preservato la lingua dall’estinzione e si stanno battendo per farla riconoscere ufficialmente accanto all’inglese.
Come il bretone, il gallese ha perso molte desinenze di caso dei nomi; i verbi, invece, presentano una flessione particolarmente complicata. Il mutamento consonantico, o lenizione, cioè l’alternanza delle consonanti, gioca un ruolo notevole nel gallese come in tutte le lingue celtiche. La grafia è fonemica, cioè rappresenta in modo non ambiguo i singoli suoni della lingua. I parlanti gallesi dunque sanno quasi sempre pronunciare anche parole che non hanno mai visto prima.
Le parole gallesi sono accentate sulla penultima sillaba e hanno un’intonazione caratteristica.
Gli studiosi individuano tre periodi del gallese: antico (800-1100), medio (1100-500) e moderno (dal 1500). L’antico gallese sopravvive solo in parole e nomi isolati. Il gallese corrente Ha una varietà settentrionale e una meridionale, e i dialetti identificati come gallesi sono quaranta.

IRLANDESE
L’irlandese, o gaelico irlandese, è la lingua più antica del gruppo goidelico. L’irlandese può essere suddiviso in quattro periodi: antico (800-1000), medio-alto (1200-1500) e moderno (dal 1500). L’irlandese, che in origine era una lingua altamente flessiva, conserva essenzialmente due casi, nominativo e genitivo, mentre il dativo sopravvive nel singolare dei nomi femminili; i tempi verbali sono solo due nel modo indicativo. E’ parlata principalmente nella parte occidentale e sudoccidentale della Repubblica d’Irlanda, dove è una lingua ufficiale, e in parte anche nell’Irlanda del Nord; l’irlandese fu parlato in tutta l’Irlanda fino al XVII secolo. Nel secolo scorso, il numero di parlanti è sceso dal 50 al 20%.

GAELICO SCOZZESE
Verso il V secolo invasori portarono una forma di gaelico in Scozia, dove sostituì una più antica lingua britonica. A partire dal XV secolo, grazie agli apporti dal norvegese e dall’inglese, il ramo scozzese si differenziò notevolmente dall’irlandese, tanto da costituire una lingua separata.
L’alfabeto dell’irlandese e dello scozzese, di 18 lettere, è identico. Il gaelico scozzese usa quattro casi: nominativo, genitivo, dativo e vocativo. Come in irlandese, l’accento è sulla sillaba iniziale.
Due sono i principali dialetti del gaelico scozzese, quello settentrionale e quello meridionale, geograficamente distinti. Il dialetto meridionale è più vicino all’irlandese rispetto a quello del Nord, ed è più flessivo.

MANNESE
La lingua dell’isola di Man è considerata un dialetto del gaelico scozzese con forti influssi norvegesi. Il mannese fu parlato in tutta l’isola fino al XVIII secolo; le leggi sono tuttora scritte in mannese. Il suo declino cominciò nel XIX secolo, fino all’estinzione del XX.





Le festività

Le principali festività celtiche, oltre a fungere da scadenze per le attività umane, erano anche occasione di espressione creativa per quel popolo così ricco di fantasia.

L’anno celtico tradizionale era suddiviso a croce da quattro festività fondamentali: - l’irlandese Samhain o il gallico Trinvxtion Samoni Sindivos (da cui il nome del primo mese dell’anno) si collocava in un periodo variabile a cavallo tra la fine di Ottobre e l’inizio di Novembre e segnava l’inizio dell’anno Celtico. Esso segnava il periodo in cui, conclusa la semina, occorreva raccogliere le provviste per il duro inverno, valutarne la quantità e decidere quanto bestiame si doveva uccidere, perché il cibo non sarebbe bastato per tutti i capi. Le carne del bestiame ucciso dovevano essere predisposte alla conservazione mediante salatura e all’utilizzazione durante l’inverno. Da ciò deriva la pratica in uso ancora presso le nostre campagne di uccidere il maiale e di preparare insaccati salandone le carni nel mese di Novembre.

Il Samhain veniva celebrato a partire dal tramonto (il giorno per i Celti dell’Europa nordoccidentale cominciava con la notte e finiva con il tramonto seguente) con l’accensione di fuochi propiziatori; in Irlanda essi erano dedicati a Cailleach, la multiforme strega della mitologia irlandese, dominatrice dell’inverno. Il Samhain era anche l’occasione per le tribù di riunirsi intorno al fuoco ove la fantasia creava storie fantastiche di eroi e di creature soprannaturali. Nella mitologia popolare al tramonto del Samhain le porte dell’aldilà, il Sidhe, si aprivano e strane creature si affacciavano sui poggi, basse colline del paesaggio naturale britannico avvolte nella nebbia; si narrava anche che esse talvolta avessero assunto meravigliose forme femminili (le banshees o “donne del Sidhe”) e si fossero accoppiate con uomini mortali generando stirpi di eroi.

L’Oimelc o Imbolic o Imbolc o anche Candlemas (da cui è derivato il termine che qualifica la festa tradizionale padana della “Candelora”), consacrata in Irlanda forse alla dea Brigit, dea della sapienza figlia della Grande Madre e di Dagda, dio saggio e buono, era la festa in cui si stabiliva un bilancio dell’inverno appena trascorso e si cominciava ad organizzare la ripresa delle attività umane. Nella scarsa mitologia celtica al riguardo, essa rappresenta il cedimento delle forze dell’inverno davanti all’avanzare della primavera con le sue tipiche manifestazioni naturali (in particolare piogge e temporali che accelerano il disgelo). Viene celebrata in un periodo collocato a cavallo tra la fine di Gennaio e l’inizio di Febbraio.
Il Beltain o Beltane, celebrato nei primi giorni di Maggio, è invece la Festa del dio Belenos, dio virtuoso, al cui splendore e alla cui forza sono dedicati i falò rituali che vengono accesi al tramonto, all’inizio del giorno della festa. Essi non sono più, dunque, il tentativo timoroso di placare una divinità temibile, ma manifestazioni celebrative della forza di un dio benevolo e amato. Il Beltain segna l’inizio del raccolto, quindi di un periodo non solo di duro lavoro, ma anche di buon clima e di abbondanza e prosperità. La tradizione celtica vuole che anche allora, come per il Samhain, si aprano le porte del Sidhe e ne escano creature incantate, ma le leggende del Beltain narrano delle vittorie degli eroi sugli incantesimi.
Nel mese di Agosto (in un periodo lievemente antecedente il nostro Ferragosto) viene celebrato il Lughnasad, una festa che saluta la fine del lavoro nei campi e segna l’inizio di un periodo destinato al riposo, alle gare di abilità o atletiche, ma anche alle guerre. E’ il periodo dei corteggiamenti e dei matrimoni, ma anche quello in cui vengono risolti i contenziosi giudiziari in sospeso.
Il Lughnasad è la festa dedicata al dio Lugh, lo “splendente”, o “colui che è abile in tutte le arti” (in un episodio della mitologia irlandese egli si proclama, con molta modestia, «un fabbro, un campione, un arpista, un eroe, un poeta, uno storico, un medico, un mago»).




IL CALENDARIO CELTICO:
user posted imageFrammento del calendario d’epoca gallica trovato
a Coligny (Francia) relativo al mese di Samionios
Il calendario di Coligny


Sull’antica tavola di bronzo erano annotati in sequenza i giorni dell’anno suddivisi in 12 mesi così ripartiti: 7 mesi da 30 giorni e 5 da 29, per un totale di 355 giorni ed una media di 29,58 giorni per mese.

Questa suddivisione si deve al fatto che il calendario celtico tradizionale era un calendario lunare, cioè assumeva come suddivisione fondamentale il ciclo delle fasi lunari o “mese sinodico” (ricordiamo che la sua durata dipende dalla velocità della Terra intorno al Sole, e il fatto che quest’ultima varia compatibilmente alla seconda legge di Keplero provoca la sua variazione da una durata minima di 28 giorni a un massimo di 31, con una durata media di 29,53); i suoi 12 mesi, i cui nomi erano Samonios (30 giorni a partire dalla prima metà di Novembre), Dumannios (29), Rivros (30), Anagantios (29), Ogronios (30), Cutios (30), Giamonios (29), Simivisonios (30), Equos (30), Elembiuos (29), Edrinios (30), Cantlos (29), venivano fatti iniziare al primo quarto di Luna ed erano suddivisi non in settimane, come per noi, ma ciascuno in due parti, di cui la prima era di 15 giorni e la seconda, che aveva inizio all’ultimo quarto dello stesso ciclo lunare, aveva una durata di 14 o 15 giorni.

Nel calendario di Coligny le due quindicine sono separate dalla dicitura Atenoux, cioè “luna nuova” o “ritorno al buio” o “rinnovamento” (in quanto, mentre la prima conteneva la fase di luna piena, nella seconda era inclusa quella di luna nuova). I mesi di 30 giorni era ritenuti Mat, o fortunati, quelli di 29 giorni erano Anmat o Ambilis, ovvero infausti.

La differenza di durata tra l’anno lunare celtico e l’anno solare di 365,2 giorni determinava la necessità di un adeguamento del calendario, che veniva effettuato aggiungendo un mese ulteriore di 30 giorni ogni 30 mesi sinodici lunari. Ad una approfondita analisi questa scelta pare grossolanamente approssimativa anche tenendo conto dell’aggiunta resa necessaria dal fatto che i mesi del calendario celtico non iniziavano con la luna nuova, ma con la luna al primo quarto (sarebbe stato meglio se mai, aggiungere un mese “corto” di 29 giorni ogni 30 lunazioni); tuttavia è difficile pensare che i druidi, noti come profondi conoscitori della matematica pitagorica e dell’astronomia, avessero compiuto un simile errore.

Una possibile via d’uscita da questa questione ci viene allora fornita da una frase della “Naturalis Historia” di Plinio il Vecchio, in cui si fa riferimento all’antichissimo rituale celtico della raccolta del vischio: «È poi questo (il vischio) molto raro a trovarsi e una volta trovato è raccolto con gran pompa religiosa e innanzi tutto al sesto giorno della Luna, che segna per questi gli inizi dei mesi, degli anni e dei secoli, che durano trenta anni, giorno scelto perché la Luna ha già tutte le sue forze senza essere a metà del suo corso».

Il sesto giorno della Luna corrisponde all’avvento della fase di primo quarto, scelta come inizio dei mesi, degli anni e di un ciclo più lungo della durata di 30 anni, che Plinio chiama saeculum.

Intorno alla scelta di questo periodo si discute ancora; di certo se non vi fossero altre correzioni oltre a quelle già citate, alla fine di un “secolo” celtico lo sfasamento tra il calendario lunare e il ciclo solare sarebbe notevole, e del resto uno dei principali problemi del calendario celtico era lo scorrimento progressivo dei mesi rispetto alle stagioni. Però il fatto che nel calendario di Coligny accanto a tutti i giorni dei mesi aggiuntivi sia annotato il nome di uno dei 12 mesi nella loro esatta successione, e che vi sia anche una fila di fori in cui potevano essere inserite delle asticelle, utili probabilmente ad eseguire un conteggio, ci dice che forse quel lungo periodo era stato scelto perché al suo interno con una opportuna strategia computazionale, peraltro ancora ignota, si potesse ricondurre l’inizio dell’anno celtico all’inizio del ciclo solare.

Ma c’è è dell’altro: la Luna era, dunque, astro di primaria importanza per i Celti (molti popoli di origine celtica festeggiavano divinità particolari oppure si riunivano per prendere decisioni importanti durante il plenilunio). Perciò i druidi si dedicarono anche allo studio del fenomeno delle eclissi e alla sua periodicità (in particolare alla determinazione della periodicità delle eclissi, le uniche che allora si potessero studiare compiutamente, dal momento che le eclissi di Sole possono essere viste soltanto in una parte ridotta della superficie terrestre).

Oggi sappiamo che esistono 4 tipi di periodicità delle eclissi di luna (ad ogni periodo si ripete un tipo particolare di sequenza cronologica di eclissi). Uno di questi 4 periodi, l’Inex, ha la durata di 358 lunazioni, circa 30 anni celtici: esso potrebbe essere il saeculum druidico.






 
Top
Sè#9
view post Posted on 7/12/2005, 14:43




interessante il calendario!
 
Top
13 replies since 12/12/2004, 15:50   949 views
  Share